Il colesterolo alto, ovvero la ipercolesterolemia totale, è considerata un indice di rischio cardiovascolare, ma il rischio maggiore per la salute risiede in un alto rapporto tra il colesterolo totale e l’HDL (con conseguente elevato valore del colesterolo LDL, ricavato dalla formula: LDL =colesterolo totale – HDL – trigliceridi/5). Nonostante queste chiare evidenze scientifiche, la paura dell’ipercolesterolemia è diventata nel giro di pochi anni una delle principali preoccupazioni di milioni di occidentali. Per chi produce e vende medicine la diffusione di tale paura ha fruttato ingenti guadagni: diverse nazioni negli ultimi anni hanno speso per i le statine – i maggiori farmaci anticolesterolo –  più che per ogni altro genere di medicinali con obbligo di ricetta medica. Nel loro insieme, oggi questi farmaci generano introiti di oltre 25 miliardi di dollari all’anno per i loro produttori (la Bayer tedesca, l’anglo-svedese Astra Zeneca e la statunitense Pfizer). Le statine possono essere di origine naturale come il lievito di riso rosso o di origine chimica (simvastatina, pravastatina, atorvastatina, rosuvastatina). Il loro meccanismo d’azione consiste nell’interrompere la via metabolica che dalla molecola di acido mevalonico porta alla produzione sia del colesterolo – l’effetto terapeutico voluto – sia del Coenzima Q10 – l’effetto collaterale problematico. La riduzione dei livelli plasmatici di Coenzima Q10 – un importante fattore mitocondriale – potrebbe spiegare il dolore muscolare, avvertito dal 5-10% dei pazienti che assumono statine e gli altri disturbi legati a questo tipo di farmaci. Nel 2001 la Bayer ha ritirato dal commercio la cerivastatina – nome commerciale Lipobay/Baycol – dopo oltre 50 morti per rabdomiolisi, una gravissima alterazione del tessuto mescolare. Gli importanti effetti avversi delle statine sono un primo elemento di cui tenere conto nel trattamento del rischio cardiovascolare.

Un altro aspetto importante della questione è la visione d’insieme del problema. Effettivamente molte persone con un elevato livello di colesterolo nel sangue hanno un rischio maggiore di ictus cerebrali e attacchi cardiaci. Però, la medicina basata sulle evidenze (Evidence-Based Medicine) dice una cosa più importante: avere il colesterolo alto è solo uno dei tanti fattori che influiscono sulle probabilità di sviluppare disturbi cardiaci insieme a ipertensione, diabete, obesità, fumo, familiarità. Secondo molti specialisti della prevenzione i nuovi farmaci che abbassano il colesterolo – le statine – hanno un senso solo nei casi di persone che abbiano già avuto disturbi cardiaci; per la maggioranza delle persone sane esistono 3 provvedimenti molto più economici, sicuri ed efficaci: migliorare la propria dieta, fare più movimento e smettere di fumare. All’inizio del 2008 è stata resa pubblicata una ricerca del 2006, condotta e finanziata dai produttori di due farmaci anticolesterolo, l’ezetimibe che ne inibisce l’assorbimento intestinale e la simvastatina (associati con il nome commerciale Inegy) in cui si dimostrava che i due farmaci abbassano effettivamente il livello di colesterolo presente nel sangue, ma non riducono il rischio di infarto.

Il terzo aspetto da considerare è quello del conflitto di interesse tra chi definisce le linee guida in campo medico e le grandi aziende farmaceutiche (Big Pharma). Le definizioni di ipercolesterolemia, ipertensione e iperglicemia nel corso degli anni sono state progressivamente ampliate sino a classificare come malate un numero sempre maggiore di persone. Secondo i National Institutes of Health (Istituti Nazionali per la Salute) negli anni ’90, 13 milioni di statunitensi avrebbero avuto bisogno di essere curati con le statine. Nel 2001 un altro comitato di esperti ha riformulato le linee guida facendo salire tale numero a 36 milioni: 5 dei 14 autori di questa nuova indicazione, compreso il presidente della commissione, sono risultati avere legami finanziari con i produttori di statine. Nel 2004 un nuovo comitato di esperti ha ulteriormente aggiornato le direttive, sottolineando che, accanto all’importanza di cambiare lo stile di vita, più di 40 milioni di statunitensi avrebbero potuto trarre beneficio dall’assunzione di farmaci: stavolta tutti gli esperti tranne uno, 8 su 9,  lavoravano anche come relatori, consulenti o ricercatori per le maggiori case farmaceutiche mondiali (per approfondire l’argomento “Farmaci che ammalano e case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti “ di R. Moynihan e A. Cassels) (2009)