Dipendenze e neuroscienze: ne parla Gian Luigi Gessa, Professore Emerito presso l’Università di Cagliari, dove è stato Professore Ordinario di Farmacologia dal 1970 e di Neuro-psicofarmacologia dal 1994. Gessa ha diretto diversi gruppi di ricerca su neuroscienze, farmacologia, depressione, alcolismo e tossicodipendenze. Le sue scoperte hanno portato all’identificazione di nuovi farmaci per il trattamento dell’alcolismo e dell’obesità. Nel 1993 ha fondato la rivista Medicina delle Tossicodipendenze.

  1. “Se i politici capissero di che parlano, non ci sarebbero tutti i malintesi che ci sono sulle droghe. Una conoscenza scientifica del problema avrebbe un’importanza enorme, e invece le logiche che si seguono sono del tutto diverse: ideologiche, emotive, moraliste”.
  2. “La scienza ha accertato che le tossicodipendenze sono una malattia cronica recidivante del cervello e vanno curate anche con i  farmaci”.
  3. “Da scienziato, voglio almeno un paio di cose: che chi pratica il recupero – il prete o il guaritore di turno – sappia di che parla e mi metta in condizioni di misurare quello che fa. Non può venirmi a dire: io ho salvato la persona x, perché il suo è un atto nobilissimo che gli farà magari guadagnare il Paradiso, ma a me interessa il gregge e non solo la pecorella smarrita e redenta. Voglio sapere quanti ne salva, e come lo ha fatto, e che succede quando finalmente li fa uscire dalla comunità.”
  4. “La marijuana e l’hashish contengono una molecola dal nome impronunciabile, il tetra-idro-cannabinolo (THC), corrispettivo della nicotina per il tabacco. Questa molecola in genere procura un senso di euforia e dispercezioni. Senz’altro agisce sul cervello e ne altera la normale attività, ma non produce danni fisici: l’accanimento con cui da sempre si cerca di dimostrarne la tossicità non ha portato finora a nulla. In altre parole, un fumatore di marijuana che ne abbia fatto uso anche per decenni in modo costante e smetta all’improvviso non avrà pregiudicato la sua salute fisica né presenterà quella che si definisce una sindrome di astinenza“.  
  5. “Ma dire questo non basta. Nei preadolescenti e negli adolescenti, direi soprattutto sotto i 15 anni, in una fase evolutiva del cervello, le droghe leggere causano seri deficit cognitivi: nell’apprendimento come nei processi della memoria”.
  6. “E nello sport è lo stesso, perché le droghe leggere creano più di una difficoltà al controllo motorio, ai movimenti complessi, all’abilità manuale. E c’è ancora qualcos’altro. E’ un dato scientificamente certo: chi comincia presto ad assumere droghe leggere, ne rimane agganciato, può diventare un fumatore abituale, da più volte al giorno”.
  7. “Quello che noi chiamiamo un addicted, dal latino addictum che vuol dire schiavo, un individuo il cui pensiero dominante è la droga. Anche il fumatore di nicotina è un addicted, però lo scopre solo quando i tabaccai sono in sciopero”.
  8. “Noi scienziati diciamo: in realtà non esiste dipendenza se non quella biologica: la dipendenza psicologica in realtà non sono che neuroni, famiglie di cellule nervose su cui si accaniscono le droghe, tutte le droghe, dalla marijuana all’eroina, dalla nicotina all’alcol”.
  9. “Questi neuroni non sono lì, nel nostro cervello, per aspettare droga. Sono lì come sensori di stimoli fondamentali per la sopravvivenza della specie: a questi neuroni “parlano” gli stimoli amorosi oppure il cibo come il cioccolato o anche la voglia di ammazzare, qualcosa che la nostra coscienza non riconosce. Con le droghe i questi neuroni diventano “maleducati”, abituati beatamente a stimoli artificiali imparano a eccitarsi solo quando vengono frustati dalle sostanze, altrimenti dormono”.
  10. “Chi fa uso di eroina ha anche fumato erba? Io dico di sì nel 99% dei casi, ma è come dire che il latte materno porta all’eroina, perché quelli che si bucano sono stati allattati dalla mamma. Solo 10 su 1000 fumatori “passeranno” alle droghe pesanti, anche perché il mercato nero non aiuta a tenere distinte le sostanze. E invece fumano in tanti e ci sono casi a rischio: alcuni hanno disturbi gravi, delle psicosi che le droghe leggere “slatentizzano”, fanno affiorare in modo a volte dirompente. Questo è un problema serio, ma senza invertire cause ed effetti. Non si diventa schizofrenici con la marijuana, ma alcuni fumatori fanno la brutta scoperta di esserlo” (dall’intervista di Luciana Sica a Gian Luigi Gessa, La Repubblica del 12-02-2002) (nella foto Un Café, l’Absinthe di Jean Béraud, 1909)