È morto a Roma Pietro Mennea, la “freccia del Sud”. Aveva 61 anni, era nato a Barletta, era allenato dal professor Vittori, è stato il più grande corridore italiano di tutti i tempi. Sono di pochi anni più giovane di Mennea; all’inizio degli anni Settanta ho gareggiato nel settore velocità del Cus Roma; Mennea per tutti noi, giovani speranze dell’atletica, era un mito, la dimostrazione che con l’impegno nessun obiettivo era impossibile.

Nel 1971, a 19 anni, Mennea aveva iniziato la sua lunga carriera atletica internazionale, debuttando ai Campionati europei di Helsinki con un terzo posto nella staffetta 4×100 e un sesto nei 200. Nel 1972 il suo debutto olimpico a Monaco di Baviera, era arrivato la finale dei 200; aveva vinto il bronzo, dietro al sovietico Valerij Borzov e allo statunitense Larry Black. Nel 1974 ai Campionati europei di Roma aveva vinto l’oro nei 200 , in una magnifica serata estiva, davanti al pubblico dello stadio Olimpico – c’ero anch’io, sedicenne, in tribuna Monta Mario, in mezzo agli atleti – e l’argento nei 100 , dietro al grande rivale di sempre, il sovietico Valeri Borzov; il secondo argento era arrivato dalla staffetta veloce con Benedetti, Guerini e Oliosi. Nel 1976 ai Giochi olimpici di Montréal era riuscito a qualificarsi per la finale dei 200: l’oro era andato al giamaicano Don Quarrie, l’argento e il bronzo a due statunitensi, poi Mennea quarto, primo atleta non afro-americano; con la staffetta 4×100 era arrivato sesto. Nel 1978, agli Europei di Praga, c’era stato il doppio oro; aveva confermato il successo di 4 anni prima a Roma sui 200, e aveva vinto anche sulla distanza più breve, i 100; sempre nel 1978 si era aggiudicato l’oro nei 400 metri piani agli europei al coperto di Milano. Nel 1979, Mennea, come studente di scienze politiche, aveva preso parte alle Universiadi di Città del Messico; in uno stadio semideserto, 11 anni dopo Tommie Smith, aveva vinto i 200 con il tempo stratosferico di 19″72, nuovo record del mondo, che avrebbe resistito per ben 17 anni, e che rappresenta ancora oggi – dopo 34 anni – il primato italiano ed europeo; tutt’ora nessun atleta bianco ha saputo fare meglio. Nel 1980 a Barletta, sua città natale, aveva fatto anche il record del mondo a livello del mare sui 200 in 19″96; alle Olimpiadi di Mosca si era presentato da favorito per l’assenza degli sprinter statunitensi; nella finale dei 200 aveva vinto l’oro con una incredibile rimonta sul britannico Wells, in testa per quasi tutta la corsa e secondo per 2 soli centesimi di secondo, e sul campione uscente Don Quarrie (nella foto la sua vittoria olimpica a Mosca); nei 100 era uscito a sorpresa in semifinale (avrebbe vinto Wells sul cubano Leonard), ma con la staffetta 4×400 aveva ottenuto un ottimo terzo posto. Nel 1981, a 29 anni, aveva annunciato il suo ritiro, per dedicarsi allo studio. Nel 1982 era ritornato sulla decisione ed aveva preso parte agli Europei di Atene, gareggiando nella 4×100 con Pavoni – argento sui 100 m – arrivata quarta. Nel 1983, a 31 anni, aveva partecipato, ad Helsinki, alla prima edizione dei mondiali, vincendo la medaglia di bronzo nei 200 e quella d’argento con la staffetta 4×100 insieme a Pavoni, Tilli e Simionato. Nel 1984 la sua quarta finale olimpica consecutiva dei 200 alle Olimpiadi di Los Angeles, boicottate dai Paesi dell’Est; era il primo atleta al mondo a compiere l’impresa: era terminato al settimo posto – aveva vinto il grande Carl Lewis, vincitore di 4 ori complessivi – e, a fine stagione, si era ritirato dalle competizioni per la seconda volta. Nel 1988, a 36 anni, il secondo rientro per gareggiare nelle sue quinte Olimpiadi a Seul, alfiere portabandiera della squadra azzurra durante la cerimonia d’apertura; superato il primo turno delle batterie dei 200 m, si era ritirato, stavolta definitivamente. Mennea ha vinto tanto per l’Italia, per lo sport italiano e per l’atletica italiana, ma è rimasto per tutta la vita, prima e dopo le vittorie, un personaggio scomodo; voglio ricordarlo con le parole che si leggono sul sito a lui dedicato (www.pietromennea.it) alla sezione “l’uomo”. “La convinzione nei propri mezzi, un trainer severissimo quale Vittori (ma non si deve dimenticare il prof. Mascolo), la voglia di emergere ed il pugno rivolto al cielo di Tommie Smith rappresentano la spinta decisiva per provare a sognare, per fare di un uomo del sonnecchiante sud un campione. Gli allenamenti lunghi e solitari accompagneranno Mennea per tanti anni, interrotti solo dalle competizioni, dai suoi ritiri e dai suoi rientri testardi e silenziosi. Quell’uomo che con maggior morbidità nei confronti del sistema sarebbe stato “socialmente” più considerato, quell’uomo spesso in antitesi con l’esterno per troppa fedeltà a se stesso, poco simpatico ad una parte di stampa che in ogni caso non ha mai potuto ignorarlo ma nemmeno cercato quando c’era da fare chiarezza. Quell’uomo che non è riuscito più a sentire suo un mondo che gli è appartenuto e che ha rappresentato per oltre un decennio”. (3-2013)