Nel 1952 in Inghilterra saliva al trono la regina Elisabetta II (oggi ancora regina dopo 65 anni), mentre in Italia – a Milano – veniva installata la prima cabina telefonica. In quel lontano 1952 l’italiano Flaminio Fidanza e lo statunitense Ancel Keys osservarono che nei vigili del fuoco napoletani il livello di colesterolo nel sangue era molto più basso rispetto ai colleghi del Minnesota (USA) e attribuirono questa significativa differenza al diverso contenuto di sostanze grasse nella dieta: circa il 20% dell’energia totale per il gruppo italiano contro il 40% dell’energia totale per il gruppo d’oltreoceano. Una volta accertato lo stretto legame tra dieta e colesterolemia venne elaborato l’Indice di Adeguatezza Mediterraneo, per misurare quanto un modello alimentare si avvicinasse o allontanasse dalla dieta media delle classi lavoratrici del Sud intorno agli anni ’50. Lo strumento era semplice ed efficace: si divideva la percentuale di energia fornita dagli alimenti tipici della dieta mediterranea (cereali, patate, legumi, ortaggi, frutta fresca e secca, prodotti della pesca, olio vergine di oliva, vino) per la percentuale dell’energia fornita dagli alimenti meno tipici (carne, latte, formaggi, uova, grassi di origine animale e margarine, dolciumi, bevande zuccherine, zucchero); maggiore era il risultato della divisione, maggiore era l’adesione alla dieta mediterranea. A Nicotera, piccolo paese della Calabria scelto per il primo grande studio internazionale sui rapporti tra cibo e salute (il famoso Seven Countries Study), l’Indice di Adeguatezza Mediterraneo diede un ottimo valore, la prevalenza d’infarto del miocardio risultò molto bassa (solo 4 casi su 607 uomini di 45-64 anni esaminati nel 1957); ipertensione, soprappeso e obesità quasi assenti. Già alla fine degli anni ’50, pertanto, fu chiaro il alcuni grassi possono favorire le malattie cardiovascolari, ma i grassi non sono tutti uguali e non hanno tutti lo stesso effetto sulla salute. Alcuni grassi in particolare sono talmente utili da essere considerati essenziali, in quanto l’organismo umano non è in grado di sintetizzarli: per mantenere lo stato di benessere dobbiamo, pertanto, introdurli con gli alimenti; il discorso riguarda soprattutto gli omega-3, visto che gli omega-6 sono più diffusi nei cibi e difficilmente risultano carenti.

I cibi ricchi di omega-3 sono prevalentemente i prodotti della pesca, soprattutto gli organismi che vivono nelle acque fredde e il pesce azzurro in genere (anche in scatola, come lo sgombro); ancora più ricchi di omega-3 sono il fegato di merluzzo, le uova di salmone, di cefalo e di storione, la bottarga, l’olio di fegato di merluzzo. La scoperta del ruolo degli acidi grassi essenziali contenuti nel pescato ci porta inevitabilmente all’altro grande modello alimentare, quello tradizionale giapponese.

La dieta mediterranea e la dieta giapponese sono considerate le diete più sane del mondo; nei due Paesi simbolo di questi due stili alimentari – l’Italia e il Giappone – l’aspettativa di vita è di 85 anni (dati dello United Nations World Population Prospects 2012 Revision), un dato che supera di 5 anni quello di Germania, Inghilterra e Stati Uniti, di 10 quello di Brasile e Cina, di 15 quello di Russia e Iran. Per questo motivo dieta mediterranea e dieta giapponese sono state entrambe riconosciute patrimonio dell’umanità UNESCO. Anche l’ultimo grande studio di popolazione, il progetto EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), ha confermato la bontà dei modelli di alimentazione basati sui vegetali e sul pesce. EPIC è stata la più vasta indagine degli ultimi anni sulle relazioni tra dieta e salute; coordinato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, lo studio ha coinvolto 520.000 persone provenienti da 10 Paesi europei. Il gruppo di popolazione che ha mostrato il maggior guadagno di salute – con circa il 18 % di riduzione nell’incidenza di tutti i tipi di tumore –  è stato quello basato su modelli vegetariani con prodotti della pesca, a riprova del fatto che nel pesce vi sono sostanze importanti per la prevenzione dei tumori. Per tutti questi motivi pesce, molluschi e crostacei sono consigliati in ogni fase della vita. Gli adulti ne dovrebbero consumare 2 o 3 porzioni settimanali di circa 100-150 grammi, ma pochi Paesi raggiungono queste raccomandazioni; nel mondo occidentale troviamo consumi adeguati solo in Islanda, Portogallo, Corea e Giappone. In Italia arriviamo a stento a 180-200 grammi settimanali, nonostante l’ottimo valore nutrizionale dei grassi, delle proteine, dei sali minerali e delle vitamine di questi alimenti.  La pesca, inoltre, è l’ultimo legame che ci rimane con i nostri antenati del paleolitico. L’invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento ha cambiato tutto le varietà animali e vegetali allora presenti, ma il pesce che peschiamo in mare – in larga parte – è ancora lo stesso di 10.000 anni fa.