Storia delle diete: gli anni 50 e ’60 hanno visto l’affacciarsi – come nel periodo precedente – di moltissime proposte dietetiche più o meno serie e quasi tutte provenienti dagli Stati Uniti. Una di queste è la dieta della zuppa di cavolo (Cabbage Soup Diet). Molti pensano che  sia un’invenzione recente della conduttrice televisiva statunitense Oprah Winfrey, in realtà risale agli anni 50 ed è stata più volte riproposta negli anni successivi con alcune varianti (in Italia sotto forma di dieta del minestrone); è una classica dieta lampo, ossia uno di quei regimi molto restrittivi per perdere peso in pochi giorni; in sostanza si mangiano solo le verdure della zuppa, frutta e carne magra (anche 2 o 3 bistecche); niente cereali e legumi, niente pesce e olio d’oliva: l’antitesi della dieta mediterranea, con la promessa di perdere fino a 5 kg in una settimana. Possibile? Sì, a volte accade, ma solo smontando la massa magra muscolare e riducendo l’acqua associata. Poi si ingrassa nuovamente, con meno muscoli e quindi con meno bisogni energetici, per cui dimagrire diventa sempre più difficile. Dalla dieta del cavolo (in tutti i sensi) alla dieta della gomma da masticare: non è uno scherzo ma negli USA, a metà anni ’50, è stata pubblicizzata la Dr. Phillips Chewing Gum Diet, sostenendo che le gomme in vendita avrebbero aiutato a sopprimere l’appetito, facendo saltare i pasti e perdere peso (“suppress your appetite, making you skip meals and shed the pounds”). Al di là dell’assurdità di inserire le gomme da masticare in un piano dietetico, ricordiamo qualche limite di questi prodotti. Gli additivi delle gomme possono alterare la flora batterica, la masticazione continua fa introdurre aria nello stomaco, ma soprattutto con le gomme si tende a mangiare meno frutta e meno cibi naturali, preferendo cibo industriale ai pasti principali.

Gli anni ’60 vedono la comparsa da un lato di diverse diete di moda e diete lampo, dall’altro il ritorno di modelli alimentari del passato. La maggior parte delle nuove diete nascono negli USA, che nel 1962 avevano un tasso di obesità del 13%, di poco superiore a quello attuale dell’Italia (10%). In un Paese in cui si erano proposte per il dimagrimento sia le sigarette sia le gomme da masticare, perché non avrebbe dovuto farlo anche l’industria dello zucchero? L’ha fatto. Per opporsi alla diffusione dei dolcificanti artificiali i grandi produttori statunitensi finanziarono una massiccia campagna nella quale si sosteneva che piccole quantità di zucchero avrebbero dovuto far parte di piani dietetici per limitare l’appetito e sopprimere attacchi di fame. Si fa fatica a crederlo, ma lo zucchero – il più potente stimolo per l’insulina – veniva consigliato per non ingrassare. I risultati si sono visti, sia per l’obesità successiva sia per l’epidemia di diabete. Nel 1963 arrivò una dieta di grande successo e la propose una casalinga statunitense in sovrappeso. Jean Nidetch – dopo la solita trafila delle diete fai da te – aveva seguito un regime ipocalorico, perdendo 9 chili; per mantenere i risultati ottenuti aveva fondato un gruppo di supporto e lo aveva definito le “sentinelle del peso”: era nato il sistema Weight Watchers, ancora oggi molto seguito. Nel metodo Weight Watchers si paga l’iscrizione, si riceve una dieta standardizzata che assegna un punteggio agli alimenti (in base alle calorie) e si partecipa a incontri nei quali ci si confronta altre persone che vogliono perdere peso. La dieta non personalizzata di Weigh Watchers può essere considerata l’antesignana delle successive diete a punti. Gli anni 60, infine, sono anche gli anni in cui è tornata in auge la dieta o filosofia macrobiotica, in qualche modo collegata alle culture millenarie dell’Asia. Nel 1961, il giapponese Nyioti Sakurazawa, divulgatore autodidatta (conosciuto in Occidente come G. Ohsawa), scrisse il libro Zen Macrobiotic, cui ne seguirono molti altri, diffondendo le prime teorie sulla salubrità della dieta macrobiotica, basate sul modello di vita dei monaci buddisti. Il modello macrobiotico (nella foto) prevede un largo uso di cereali, legumi e semi oleosi; niente cibi industriali con preferenza ad alimenti di produzione naturale; niente zucchero e dolci, sì a frutta e verdure (con l’eccezione del gruppo della Solanacee: pomodori, melanzane e patate); prodotti della pesca preferiti alla carne, poco latte e derivati, no caffè, poco vino; la scelta dei cibi viene effettuata bilanciando cibi acidi-Yin ricchi di potassio (latte e derivati, frutta, tè e spezie) e cibi alcalini-Yang  ricchi di sodio (sale, carne, pesce, pollo, uova). Secondo l’oncologo Franco BerrinoLa macrobiotica ha un impatto positivo sull’intero organismo, perché riduce le infiammazioni (all’origine di molte malattie), tiene sotto controllo l’innalzamento della glicemia e aiuta a prevenire problemi cardiaci, diabete, demenza senile”. Per il professore la filosofia macrobiotica – così come la dieta mediterranea – è efficace nella prevenzione del cancro poiché segue la raccomandazione internazionale (WCRF) di basare l’alimentazione quotidiana prevalentemente su prodotti vegetali. (segue)